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Lo staff di Avalco Travel e collaboratori visita le montagne più alte del pianeta da oltre 30 anni, a piedi e con gli sci. Collettivamente, con o senza clienti,  abbiamo salito tutte le 14 vette di 8000 m in Himalaya e Karakorum e più di 50 vette oltre 7000 m.


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Alpinismo e Scialpinismo in ALTA QUOTA
FAQ

Domande e Risposte, criticità e … trucchi commerciali

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Definiamo,  per i nostri scopi,  convenzionalmente  come “alta quota”  ogni ambiente montano  a più di 6000 m s.l.m.  (Nella medicina tradizionale la soglia di alta quota è stabilita già a 2500 m).
Diciamo subito che l’approccio e il tipo di esperienza richieste in alta quota sono  decisamente diverse, sia dal punto di vista dell’organizzazione che del singolo alpinista, rispetto alle avventure (anche le  più estreme)  alle quote  più basse.
Perché ?   cerchiamo di capirlo dalle domande/risposte che seguono.

D. Come organizzate le spedizioni in alta quota ?
R. I principi generali restano quelli delle spedizioni “normali”, tuttavia dobbiamo applicare criteri ad hoc , in particolare per la valutazione della preparazione dei partecipanti e dei servizi forniti dal partner locale, e per la sicurezza.

D. Come valutate la preparazione di un potenziale partecipante?
R. Facciamo prima un’intervista telefonica, valutiamo il curriculum alpinistico della persona (con enfasi  sulle precedenti esperienze in quota), e la motivazione. Dobbiamo stabilire con una certa precisione il livello fisico, tecnico, e psicologico di ogni partecipante, allo scopo di formare gruppi omogenei e garantire la più alta probabilità di successo.  Sarà fondamentale effettuare una o più uscite del team sulle Alpi, prima della partenza, anche per generare il necessario affiatamento tra i partecipanti.
Naturalmente, tutto è più facile e semplificato se si tratta di un  team pre-costituito di alpinisti attivi e con esperienza.

D. E nel caso di una guida alpina con i suoi clienti ?
R. Sarà la stessa guida alpina che fa le valutazioni sopra menzionate, avendo concordato con noi gli obiettivi generali e le modalità del viaggio.

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Trekking al campo base del Pik Lenin, Kyrghyzstan

 

D. Fornite le bombole di ossigeno ?
R. Preferiamo promuovere l’alpinismo senza ossigeno supplementare e semmai curare in modo ottimale l’ acclimatamento per meglio gestire l’ipossia. Tuttavia, assicuriamo sempre la presenza di bombole al campo base per le emergenze e per chiunque decidesse di effettuare tutta la progressione con l’aiuto dell’ossigeno in bombola.

D. Senza ossigeno supplementare la progressione in quota è molto più lenta…
R. Senza dubbio occorre più tempo per l’acclimatamento e per la progressione stessa. E’ una scelta, anche etica se vogliamo; ognuno è libero di fare la sua. In ogni caso, se forniamo l’assistenza di sherpa o guida alpina per la salita alla vetta e ritorno, questi hanno sempre una o due bombole di emergenza anche per sé stessi; infatti, uno sherpa che accusasse mal di montagna per ipossia, non sarebbe più in grado di fornire il supporto necessario.

D. Alcuni operatori offrono spedizioni anche a 8000 m in velocità, praticamente dimezzando i tempi di una spedizione “standard” …
R. E’ una modalità possibile grazie soprattutto ad un training a casa di circa 8 settimane, dormendo in tenda ipobarica dove si simula la pressione parziale di ossigeno a 6000-7000 m. Poi, sul campo, si fa uso itenso delle bombole di ossigeno; alcuni operatori permettono flussi anche di 6 lt/min o più.
C’è chi promuove le ascensioni rapide anche senza training specifico con camera ipobarica. La cosa funziona soltanto per alpinisti già esperti e ben allenati, oltre che  abituati anche qui sulle Alpi alle ascensioni in velocità. Si tratta di una nicchia di pochi appassionati ben determinati e consci anche dei rischi connessi con le performance estreme.
Anche noi offriamo  queste modalità, ma in generale per l’alpinista “normale” suggeriamo l’approccio tradizionale dell’acclimatemento progressivo.

 

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Crepaccio alla Khumbu Icefall, Everest versante sud, Nepal

 

.D. Non vi piacciono le spedizioni veloci ?
R. Ci piacciono eccome, e ne realizziamo molte. Una spedizione “veloce” paradossalmente stanca meno, è più sicura per definizione (poiché si riduce la durata dell’esposizione ai pericoli) ed è ovviamente più compatibile con gli impegni personali dei partecipanti. Ma preferiamo perseguire la velocità grazie ad un mix di fattori (team poco numerosi, partecipanti ben selezionati e allenati,   1 sherpa per cliente e di alto livello tecnico, attrezzature leggere, utilizzo minimo o nullo di corde fisse, uso degli sci ovunque possibile, ecc.), piuttosto che ricorrere a mezzi artificiali quali tenda ipobarica e bombole di ossigeno.

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Andrzej Bargiel: prima discesa integrale in sci del K2, Pakistan

 

D. Tenda ipobarica e bombole di ossigeno che controindicazioni avrebbero ?
R. Presto detto. Dormire a casa per 8 settimane in tenda ipobarica può avere i suoi effetti sull’ematocrito e generare perciò un livello di “acclimatamento”, ma non tutti i medici sono d’accordo sul mantenimento dello stesso e, in ogni caso, è un sacrificio che pochi vogliono accettare.
Quanto al kit bombola-erogatore-maschera, è naturalmente un ingombro e un peso (quasi 4 kg) non indifferente. Molti alpinisti scelgono di usarlo soltanto durante il sonno ai campi alti, ed è un buon compromesso secondo noi. Tra gli svantaggi delle bombole, mettiamo il rischio di malfunzionamenti (soprattutto blocchi dell’erogazione per congelamenti, perdite di ossigeno per scarsa tenuta della maschera, difetti nelle valvole) e la gestione logistica delle bombole stesse.
Non trascuriamo che l’utilizzo di ossigeno supplementare crea dipendenza sul soggetto che ne fa uso. Un eventuale guasto nell’erogazione o un esaurimento della bombola potrebbe avere conseguenze drammatiche. Meglio allora salire con le proprie forze grazie ad un acclimatamento progressivo e naturale, molto più sicuro in definitiva.

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Saturimetro da polso Nonin

 

D. Però alcuni operatori che promuovo le spedizioni “veloci”  dicono di garantire un successo del 100% o quasi …
R. Inutile negare che per alcuni operatori le spedizioni “veloci” sono soppratutto un’occasione di business con prezzi esagerati. La durata ridotta del viaggio è già un elemento attraente dal punto di vista commerciale, e la garanzia di successo  pure. A questo proposito, il 100% success rate non sempre è raggiunto (i dati sono difficili da verificare e manipolabili)…
D’altra parte, esistono operatori che all’opposto promuovono l’ascensione lenta, con pochi metri di dislivello al giorno e i “mezzi” campi (campo 1 – campo 1,5 – campo 2 – campo 2,5 – ecc.).

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Utilizzo di ossigeno supplementare al Makalu, Nepal

 

D. La telemetria dei dati fisiologici può aiutare ?
R. In alta quota può essere utile controllare soprattutto tre  parametri: il livello di saturazione (di ossigeno) del sangue,  l’ematocrito (dà una misura del livello di  globuli rossi nel sangue, responsabili del trasporto di ossigeno) e la frequenza cardiaca. I primi due parametri permettono di prevenire i danni severi da ipossia (quali edema polmonare HAPE e cerebrale HACE),  il terzo è un segnalatore dello stato fisico generale e in particolare del sistema respiratorio e circolatorio.
Questi parametri possono essere oggi rilevati con pratici strumenti da polso ed inviati in tempo reale al medico presso il campo base oppure al proprio medico.  Tuttavia, queste rilevazioni sono di effettiva utilità soltanto applicando algoritmi complessi (da parte di medici specializzati), sviluppati ad hoc sul soggetto, e poi interpretati in modo corretto.
Il tutto ha i suoi costi e non è esente da errori. Per esempio, gli stessi medici fisiologi d’alta quota non sono d’accordo sulla interpretazione dei valori di saturazione. Questa presenta delle variazioni enormi durante l’attività, con picchi altissimi anche  per pochi secondi. Alcuni medici raccomandano di misurare la saturazione soltanto a riposo, di notte; altri invece vogliono monitorare anche  le variazioni sotto sforzo.
Anche qui, alcuni operatori offrono programmi di telemetria a costi elevati, promettendo maggiori prestazioni e sicurezza,  senza evidenziare però i limiti  anche dei migliori sistemi attuali.

D. Dunque che controlli fisiologici consigliate ?
R. Senza disporre di un medico nella spedizione, meglio evitare il fai-da-te con il saturimetro. Conoscendo a fondo la propia fisiologia sotto sforzo, può invece essere utile il cardiofrequenzimentro per dosare la progressione, specialmente nella marcia di avvicinamento che è da considerarsi un allenamento  in vista della salita oltre il campo base. Per il resto, i segnali d’allarme tradizionali (mal di testa, nausea, vomito, febbre, insonnia, iperventilazione anomala) devono guidare la propria strategia sul campo. Se ci sono i sintomi del mal di montagna (AMS), è obbligatorio scendere di quota per evitare danni peggiori (HAPE, HACE) e, in questi casi più gravi, occorre somministrare ossigeno o mettere il paziente in sacco iperbarico (Gamow bag).

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Tenda ipobarica per utilizzo in casa

 

D. Inevitabile chiedersi quanto è opportuno ricorrere al Diamox
R. Anche qui i medici fisiologi non sono tutti d’accordo. In generale, sentendo questi e considerando la nostra esperienza, troviamo utile assumere il Diamox® (acetazolamide) ai primi sintomi evidenti di mal di montagna, secondo le dosi consigliate (normalmente 1 pastiglia di 250 mg ogni 12 ore). Sembra  che il Diamox abbia la capacità di bloccare l’anidrasi carbonica a livello del sistema nervoso centrale,  con una ridotta  produzione di liquidi e perciò  contrastando i fenomeni di edema cerebrale e polmonare. Essendo un vaso-dilatatore, aiuta la circolazione del sangue e la distribuzione dell’ossigeno nei tessuti;  tuttavia, riteniamo di non consigliarlo in via preventiva, come spesso si vede nelle spedizioni,  a causa dei possibili effetti collaterali (eccesiva diuresi, sonnolenza, perdita di lucidità, diarrea, formicolio agli arti).

D. In definitiva quali sono i problemi fisici più frequenti legati all’alta quota ?
R. Nella nostra esperienza, i problemi maggiori derivano dai congelamenti e non dalla ipossia. Infatti, i sintomi del mal di montagna da ipossia (AMS) ormai sono noti,  la maggior parte degli alpinisti sanno  riconoscerli e accettano che la migliore cura è scendere rapidamente di quota. Invece, i danni da freddo estremo sono più frequenti poichè i sintomi sono meno evidenti. Quando si hanno le dita dei piedi blu da congelamento, può essere già troppo tardi e le cure sul posto non sempre permettono di recuperare.
Perciò occorre proteggersi adeguatamento da freddo e vento,  usare attrezzature adeguate e nuove.

D. Perché attrezzature nuove ?
R. Ci riferiamo in particolare all’abbigliamento tecnico. Le prestazioni dei capi decadono rapidamente con il tempo e l’uso. Un saccoletto in piumino con temperatura comfort di -25°C da nuovo, dopo pochi anni garantisce soltanto -10°C o meno…

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Cucina al campo 3 del Denali, Alaska

 

D. Quali altri problemi rilevanti si devono affrontare in alta quota ?
R. Probabilmente le scottature, per cui occorre usare creme solari ad alta protezione (e nuove !), le ferite alle labbra (da sole e vento) che si prevengono con le apposite creme, e i danni agli occhi (senza maschere protettive UV, di alta qualità, si possono accusare danni importanti come congiuntivite, oftalmia da neve, gonfiore, e persino parziale cecità).
Un altro problema frequente in quota è l’insonnia. Chi ne soffre può prendere farmaci ad hoc che favoriscono il sonno, però questi possono causare perdita di lucidità nelle attività durante il giorno.

D. Ci sono suggerimenti particolari sulla alimentazione ?
R. Valgono le buone regole generali che già usiamo a quote più basse. Ovvio che ad alta quota dovremo bere di più per compensare la maggiore disidratazione e privilegiare cibi facili da masticare e da digerire.
Al campo base è bene mangiare e bere molto, privilegiando una dieta varia e ricca di carboidrati (utili per la costituzione di riserve di glicogeno nei muscoli e per l’apporto energetico), ma anche di proteine. Spesso è difficile disporre di frutta e verdura fresche, per cui può essere necessario assumere integratori vitaminici .
Per i pasti nei campi alti sono universalmente utilizzati i pasti liofilizzati in busta. Sono leggeri e pratici, è sufficiente aggiungere acqua bollente direttamente nella busta. Col tempo possono stancare, ma esiste una varietà notevole di pietanze e gusti.
Poi è anche una questione di scelte e abitudini. C’è anche chi si prepara i cibi a casa, avendo quindi il totale controllo degli ingredienti e dei parametri nutrizionali, poi li sottopone a disidratazione e li imbusta sotto vuoto.

Specialmente nei campi base in Nepal, India, e Pakistan, occorre stare attenti alla igiene in cucina e ai cibi piccanti, che possono causare diarrea, una brutta faccenda che può rovinare completamente un viaggio.
Per quanto riguarda la preparazione dei cibi, alle quote maggiori ma soprattutto con freddo intenso (-20°C o meno) i tradizionali fornelli a gas possono andare in crisi. Meglio usare le cartucce con alta percentuale di propano e tenerle al caldo del saccoletto durante la notte, oppure passare ai  fornelli a benzina, meno pratici da usare ma più efficienti a basse temperature.

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Corde fisse sul versante sud dell’ Everest

 

D. Quali altri consigli da tenere presente ?
R. Ce ne sarebbero una infinità, ci sono centinaia di libri sull’argomento, e certamente non bastano. Occorre una solida esperienza o, mancando questa, meglio iniziare con obiettivi mansueti (per esempio un 6000 m facile) affidandosi ad una buona organizzazione specialistica o guida alpina. Poi progressivamente si imparano i trucchi del mestiere …

D. Corde fisse si o no ?
R. L’argomento è complesso. Nelle montagne più frequentate, come Everest e Cho Oyu per esempio, si muovono contemporaneamente centinaia di alpinisti, quasi tutti con limitata esperienza e poco “veloci”, serviti da un buon numero di sherpa e portatori con carichi elevati. Per la sicurezza dei “clienti” e per il lavoro stesso di sherpa e portatori, diventa tecnicamente indispensabile ricorrere alle corde fisse. Le spedizioni che arrivano per prime sulla via installano le corde fisse e poi le “affittano” alle spedizioni successive. Resta inteso che se un alpinista volesse salire e scendere senza toccare un solo centimetro di corda fissa, è libero di farlo.
Tuttavia, noi privilegiamo ovunque possibile una modalità vicina al cosiddetto “stile alpino”,  con gruppi ridotti (2-6 componenti di buon livello tecnico e allenati),  progressione veloce senza corde fisse, posa e utilizzo dei campi alti finalizzati alla strategia di progressione, tenendo conto dell’ acclimatamento e in generale della sicurezza.

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Discesa in sci del Laila Peak, Pakistan (photo credit: Volkl)

 

D. Avalco Travel si dedica moltissimo allo scialpinismo. Ci sono considerazioni particolari sull’utilizzo degli sci in alta quota ?
R. Su tutte le montagne, anche di 8000 m, che si prestano bene ad una discesa con gli sci, noi li consigliamo. Se possono essere usati anche in salita, tanto meglio. Gli sci offrono la possibilità di una discesa divertente e veloce; e sono più sicuri nell’attraversamento di zone con crepacci. Senza dimenticare che, negli avvicinamenti e su ghiacciaio, possono essere il solo mezzo efficiente per avanzare con  molta neve fresca.
Ma ci sono delle limitazioni. Intanto, non sono molte le montagne di oltre  6000 m  che si prestano “bene” allo sci e in generale queste richiedono un livelllo tecnico sciistico molto alto (pendii ripidi, ghiaccio, ecc.) Inoltre, gli sci rappresentano un extra peso non trascurabile nella salita e durante tutte le fasi della logistica.
Sono tutti fattori da prendere in considerazione e che condizionano la scelta dell’obiettivo, dell’itinerario, e del periodo (con gli sci spesso privilegiamo i periodi di neve abbondante che invece le spedizioni tradizionali evitano come la peste…)

D. Idem per lo snowboard ?
R. In generale sì, salvo che lo snowboard (consigliato nella versione splitboard) può risultare più lento in salita (anche a causa del peso extra) e può essere problematico in discesa se ci fossero falsopiani o conche. Come su qualsiasi montagna, del resto.

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Salita in sci al Muztagh Ata 7546 m, Xinjiang (Cina)

 

D. Quale operatore scegliere per una spedizione ad alta quota ?
R. Difficile dire quale operatore è meglio o peggio di altri, a parte le trovate di marketing.  Secondo noi bisogna  affrontare l’alta quota con il buon senso,   nella giusta misura , secondo il  livello tecnico ed esperienza, affidandoci a organizzazioni e guide valide,  che osservano le buone regole di sicurezza  e che non “sparano” dati  altisonanti solo per attrarre la nostra attenzione.
Un esempio per tutti ?  Alcune organizzazioni  pubblicizzano  il proprio record di “zero incidenti”. Che significa ciò  ? … assolutamente nulla !  I professionisti del Risk Management ci avvertono che il fatto di non aver subìto incidenti ad oggi non garantisce di non avere incidenti in futuro, poiché l’incidente ha sempre una componente casuale e il “rischio zero” non esiste. Anzi, se un’organizzazione avesse già subìto uno o più incidenti, è probabile che sia meglio preparata  ad evitare indicenti futuri e, in generale, sarà  più sensibile ed efficiente nella gestione dei rischi.
Infine, cosa si intende per “incidente “ ? Nessuno ve lo dice e, d’altra parte, i “quasi-incidenti” (near-miss, ossia gli incidenti minori senza conseguenze fatali) sono ben più frequenti e significativi degli “incidenti”.  Quale organizzazione affronta la gestione dei rischi in modo professionale, offrendo una statistica di incidenti e di near-miss, spiegandone le cause e descrivendo le misure adottate in seguito ?

D. Le vette di 8000 m e di alcuni 7000 sono fin troppo frequentate. E’ un problema ?
R. Sì, specialmente su alcuni 8000 il campo base è affollato, ci sono difficoltà nella gestione dell’acqua potabile e nello smaltimento dei rifiuti. Inoltre, la concentrazione della domanda su alcuni 8000  e 7000 “facili”  determina almeno due problemi. Il primo è la levitazione dei costi:  i fornitori locali della logistica alzano i prezzi e i governi aumentano le royalties, ormai si è arrivati a tariffe da pura follia in Nepal e Tibet.  Il secondo grave problema è che l’economia locale trae benefici solo nelle aree delle montagne più frequentate, come il Khumbu e la regione del Annapurna in Nepal, mentre le aree meno frequentate restano “povere”.
Avalco Travel da sempre incoraggia gli alpinisti a scegliere vette di 6000 o 7000 m, invece dei costosi 8000, e possibilmente in valli poco frequentate.  E’ del tutto soggettivo, ma secondo noi dà più soddisfazione conquistare un 6000 o 7000 in zona remota,  magari addirittura mai salito prima. C’è più il sapore dell’avventura e anche il contatto con la gente del posto è più autentico.
Poi ci sono intere regioni quasi trascurate, come il Pamir (Kyrghyzstan e Tajikstan) per fare solo un esempio, che offrono tutta la wilderness che vogliamo, a costi ragionevoli, e senza le odiose royalties vigenti in altri paesi.
Anche  Cile, Argentina, Perù, Bolivia, offrono magnifiche vette oltre 6000 m poco frequentate, fattibili senza burocrazia né  royalties,  con logistica relativamente semplice, e a costi nemmeno confrontabili con quelli del Nepal.

 

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